Eccoci finalmente arrivati al capitolo in cui spiegheremo una delle differenze più importanti: la differenza tra lavoro da remoto e lavoro agile (smart working). 

Nonostante la pandemia ci abbia insegnato a usare questi termini nella quotidianità, spesso essi vengono ancora usati, erroneamente, come sinonimi. Non abbiamo mai affrontato questo tema nel nostro blog, ma credo sia arrivato il momento di togliere definitivamente qualsiasi tipo di dubbio, per poter usare i termini corretti con i giusti significati.

Non lavorare più dall’ufficio

Partiamo dalle basi: entrambi, non c’è dubbio, rappresentano una modalità di lavoro completamente diversa da quella a cui siamo abituati. In particolar modo, in entrambi i casi non è necessario lavorare dalla scrivania del proprio ufficio. Entrambe le modalità, infatti, prevedono che il lavoratore si trovi in una sede diversa da quella in cui fornisce solitamente la sua prestazione: che sia a casa, che sia un parco o che sia una caffetteria, in entrambi i casi non si lavora legati alla scrivania dell’ufficio. 

Spesso, tuttavia, il lavoro da remoto è inteso esclusivamente come “lavoro svolto da casa”, anche se l’espressione, in sé e per sé, significa lavorare da qualsiasi altro posto che non sia il proprio ufficio. 

Ma questa non è una differenza, piuttosto una cosa che accomuna le due modalità, perciò andiamo oltre.

Il lavoro da remoto

Non resta molto da aggiungere al lavoro da remoto, in quanto non significa niente di più di quello che abbiamo già detto: lavorare da una sede distaccata o da un luogo che non sia il nostro solito ufficio, luogo, quest’ultimo, nel trascorriamo la maggior parte delle ore lavorative. In parole povere, spesso viene inteso come prendere il proprio lavoro e portarlo a casa: documenti, computer portatile, tutto quanto. 

Lavorare da remoto non significa niente più di questo: le modalità in cui si presta l’attività lavorativa sono le stesse, compresi gli orari previsti dal contratto, che devono essere rispettati. Se di solito lavorate 8 ore al giorno in ufficio, in un altro luogo (presumibilmente a casa), per svolgere quello stesso lavoro sarete sempre occupati per 8 ore. 

Questa modalità è quella che molti italiani si sono trovati a usare durante la pandemia: spesso si parlava di smart working, ma la realtà voleva che, durante lo stato di emergenza, molti (se non tutti) hanno lavorato le solite ore stando a casa. Perciò, piuttosto che di smart wokring, o lavoro agile, si sarebbe dovuto parlare di lavoro da remoto.

Il lavoro agile (o smart working)

In questo caso parliamo di un modello di lavoro profondamente sconosciuto in Italia e anche fortemente diverso dal lavoro da remoto. La parola chiave, quando si parla di lavoro agile, è “flessibilità”. Essa, come abbiamo già detto, si realizza modificando il luogo di lavoro, ma soprattutto trasformando l’orario. A cambiare, però, è anche la concezione del lavoro. Non si lavora più focalizzandosi sugli orari fissi e sul monte ore totale, ma sul risultato finale e sugli obiettivi. La fondamentale caratteristica di questo modello di lavoro, dunque, diventa raggiungere un determinato obiettivo, a prescindere dal luogo in cui si opera e dal tempo che si impiega. 

Siamo stati per mesi convinti di usare alla perfezione lo smart working durante la pandemia: la verità è che, in Italia, siamo anni luce indietro in merito al lavoro agile, sia per motivi organizzativi, sia per tradizioni e costumi. 

Non va mai dimenticato, infine, che uno smart working che si rispetti racchiude al suo interno anche la possibilità di continuare a collaborare con i propri colleghi, proprio come se si fosse in ufficio, usando piattaforme di comunicazione che facilitino la collaborazione, piuttosto che ostacolarla. 

Perciò, ricapitolando, flessibilità oraria e lavorare per obiettivi: questo è il vero lavoro agile.

Conclusioni

È difficile dire quale sarà il futuro del lavoro: la pandemia ha dato certo inizio a una trasformazione, ma si tratta di un cambiamento che fatica a diffondersi. Passare del tutto allo smart working si prospetta pressoché impossibile, se non utopistico: si tratterebbe di un passo complesso da compiere, che cambierebbe l’intero ecosistema aziendale e l’intera modalità con la quale si è lavorato per anni. È uno step difficile, ma che porterebbe sicuramente benefici: non mi dilungherò in questa sede a parlare dei vantaggi dello smart working, lascio qui sotto l’ultimo articolo in cui ne abbiamo parlato in modo approfondito. 

Lo smart working fa bene: i benefici del lavoro agile